In un mondo automatico e surreale, l'arpaterapeuta varca la soglia di una stanza, munito della propria arpa e di un set di musiche specifiche per ogni esigenza. Una melodia per il mal di testa, un'altra per il mal di schiena, una per la depressione e un'altra ancora per l'insonnia.
Tutte musiche inedite, costruite a tavolino da musico-farmacologi esperti per una varietà di condizioni, e, come nella migliore tradizione terapeutica occidentale, tutte con una grandissima probabilità di sopprimere il sintomo indesiderato. La realtà, per nostra fortuna, è un po' diversa. Il primo compito di un musicista clinico, quando varca la soglia di una stanza, è di annullare le distanze che separano il portatore di un sapere tecnico da tutti gli altri. Stabilire un'alleanza, sedersi sullo stesso gradino e porre le basi per una relazione tra pari, dove l'assistito viene raggiunto dall'assistente, "là dove lui si trova". Tutto questo, spesso, parte dalla prime note di quella vecchia canzone, che tutti conoscono, ma di cui ora non ricordano il titolo. Da quella cellula di empatia pura, si snoderà una storia fatta di presenza, musica e parole, dove l'improvvisazione, il repertorio tradizionale, i brani richiesti dal paziente e le scelte dell'arpista danzeranno in un delicato equilibrio condiviso. La ricerca in etnomusicologia medica* ha rilevato che non vi sono musiche rilassanti e benefiche in assoluto, ma, piuttosto, che vi sono persone in grado di scegliere musiche rilassanti e benefiche per sè. E la mancata indagine del mondo musicale soggettivo costituisce la più grande e misconosciuta falla degli ultimi cinquant'anni di ricerca clinica sugli effetti della musica. Dunque, non ho paura di dire sì alle richieste musicali dei pazienti, anche alle più improbabili. Ricordo il caso difficilissimo di un uomo ancora giovane, che si trovava a vivere i suoi ultimi mesi nel completo rifiuto della propria prognosi. Amava i Saxon, i Deep Purple, gli Iron Maiden e pochi altri gruppi, lontani anni luce dagli stereotipi dell'arpa e del rilassamento sonoro. Partimmo dalle ballad, e quei brani, suonati all'arpa, avevano un gusto completamente nuovo. Erano pezzi del suo passato, ma parlavano di lui come era adesso, nell'unico modo in cui fosse possibile parlarne: in musica. Un giorno, mi disse che gli piaceva anche il Banco del Mutuo Soccorso. Per una settimana, prima del nostro incontro, preparai "Non mi rompete". Suonavo e cantavo quel testo pazzesco - "non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno" - consapevole che la richiesta non poteva essere stata casuale. Il giorno del nostro incontro settimanale, trovai la sua stanza vuota, la targhetta con il nome rimossa dalla porta. Accade spesso, lavorando in hospice, di prepararsi per giorni ad un momento musicale e umano, per poi scoprire che la persona ci ha lasciato. A rimanere, immensa ed eterna, è la nostra canzone. * West, T., Ironson, G. (2008) Effects of Music on Human Health and Wellness: Physiological Measurements and Research Design, in The Oxford Handbook of Medical Ethnomusicology, ed. Benjamin D. Koen, New York: Oxford University Press
3 Commenti
|
AutoreSilvia Maserati: arpista, musicista clinico, formatore in arpaterapia ArchiviCategorie |